Il pesce nell’orecchio

C’era quel pesciolino nell’orecchio, quello che Douglas Adams aveva inventato per spiegare la più grossa delle problematiche del viaggio nell’iperspazio: la comprensione tra specie aliene. 

Già facciamo fatica a comprenderci  vicendevolmente nella nostra sfera blu non lontana dal sole, figuriamoci come faremmo a comunicare con gli abitanti della nebulosa di Orione. L’argomento è evitato con cura in tutti i film di fantascienza e soprattutto nei telefilm cult dove l’incontro con le altre specie non presenta mai la minima difficoltà a livello di comprensione linguistica. Tutti che hanno, in qualche modo, incorporato nell’orecchio un pesciolino o macchinetta o quelchevuoitù che magicamente non solo traduce le parole, ma riesce a tradurre evidentemente anche i sensi linguistici complessi, i modi di dire, le peculiarità del linguaggio che non potrebbero, a ragione veduta, mai trovare traduzione in nessun modo. Come a dire che già sono alieni i livornesi che dicono “o che cacciucco hai fatto?” per dire che hai fatto confusione, e non che ti sei preparato una gran minestra di pesce, figurati un alieno vero con il sangue verde, due cuori e una enorme testa protuberante.

 Ho scoperto questo splendido libro di David Bellos, Is that a fish in your ear? di cui la breve presentazione su vimeo. Per pensare davvero alle implicazioni della traduzione come concetto filosofico.